Secondo mia sorella, per avere sempre una casa efficiente e sotto controllo, bisognerebbe fare un trasloco ogni cinque anni. Certo, poi ci sarebbero altri traumi, ma la soddisfazione di conoscere il contenuto di tutto quello che abbiamo in casa nostra, nonchè ogni singola posizione in dispense-armadi-cassetti ,è roba che va oltre ogni "stress da moving on" e che ci ripaga di qualsiasi sforzo: perchè se è vero che imballare-trasportare-disimballare o come cavolo si dice comporta uno straordinario non da poco di fatiche, smoccolamenti e stanchezza, è altrettanto vero che poter avere una casa pienamente sotto controllo è una soddisfazione mica da ridere. E se questo accade in una stagione della vita in cui, da figli adolescenti a specchi insensibili e maleducati, ti rendi conto che "controllo" è un concetto che ormai non ti appartiene quasi più, è inevitabile aggrapparsi a tutto, anche a robe che, fino a pochi anni fa, venivano considerate semplici accessori di una vita con ben altre priorità- e la casa rientrava fra queste.
Fino a poco tempo fa, infatti, "casa" e "macchina" stavano esattamente sullo stesso piano, per me: niente di più che due mezzi necessari per il tipo di vita che avevo scelto, tutta proiettata all'esterno- e quindi all'insegna degli spostamenti, dei cambiamenti, delle panacee di un'irrequietudine di fondo che l'età, la famiglia e la figlia hanno solo smussato agli angoli. Erano luoghi di permanenza brevi, dove ci si fermava il tempo strettamente necessario per riorganizzarsi e ripartire (la prima) o per farsi trasportare da un luogo all'altro (la seconda) e quindi non avevano nulla che potesse invogliare me o chicchessia a restarvi per un pò'. Che poi, nei fatti, io abbia sempre avuto case piene di gente e macchine che han visto sviscerati tutti i massimi sistemi in discussioni interminabili, meglio se da mezzanotte in poi, questa è un'altra faccenda, di cui, però, nè il mio salotto nè l'abitacolo della mia auto hanno mai avuto la benché minima responsabilità: da quelli, infatti, veniva solo voglia di scappare.
Superfluo aggiungere che, curandomi poco dell'una e dell'altra, non mi sono mai preoccupata dei loro contenuti: l'auto era una specie di cabina armadio con libreria annessa, visto che spesso e volentieri uscivo all'alba e tornavo a notte fonda- e in mezzo dovevo andare a lavorare in tre posti diversi- con tre abbigliamenti diversi- prendermi caffè con tizi, aperitivi con cai e pranzi con semproni, per non parlar degli amici e delle cene e dei tempi morti da resuscitare con un libro.
La casa, invece, era un luogo di parcheggio di qualsiasi cosa mi venisse in mente. A me, a mia sorella e ai nostri amici, visto che, all'epoca, le uniche privilegiate ad avere a disposizione un appartamento tutto per loro eravamo noi (e pazienza, se era proprio attaccato a quello di mamma e papà). Nel giro di poco tempo, l'avevamo trasformata in una sorta di antro delle meraviglie, piena zeppa di cose che prima o poi sarebbero servite, a me o a chiunque altro, e che intanto, per il momento, stavano lì, ammassate in dispense vere e di fortuna, stipate negli armadi, nascoste dietro alle immancabili pile di libri.
Superfluo aggiungere che c'era una gran confusione, dappertutto- e non vi dico cosa è stato il mio primo trasloco: vi basti sapere che da lì per i dieci anni a venire ho pagato la tassa della rumenta senza batter ciglio.
Tuttavia, ad ogni viaggio che facevo nel bidone della spazzatura, era una litania di "mai più". "Mai più mi ridurrò così, mai più comprerò cose che non uso, mai più terrò sempre tutto, mai più, mai più, mai più".
Lo stesso copione si è ripetuto tre anni dopo, quando ci è toccato un secondo trasloco che ha riproposto grosso modo un identico trionfo dell'inutile- inutilizzato-inutilizzabile da una parte e del gran casino dall'altra: e i "mai più" si sono arricchiti di altri buoni propositi, pure a scadenza: "una volta alla settimana, controllo la dispensa; una volta ogni 15 giorni, rifaccio i cassetti; una volta al mese, sistemo i documenti; una volta a trimestre, la libreria" e così via, secondo un florilegio di buone intenzioni che non avrebbe sfigurato sui libretti del Catechismo per la Prima Comunione che usavano ai miei tempi.
Stavolta, c'era tutto: programmazione, raziocinio, coerenza, volontà e pure con il rischio brutta figura annesso, visto che per motivarmi ulteriormente l'ho detto a mari e monti, che "da questa casa, si cambia".
E allora com'è che ieri, nell'armadietto dei medicinali, ho trovato aspirine scadute nel 2004 e sciroppi per la tosse del 2006?
Ditemi che erano due ottime annate, vi prego....
LEMON DRIZZLE CAKE
Non so se questo libro avrà mai l'onore dello Starbooks, perchè è un po' troppo connotato: ma di sicuro è uno degli acquisti migliori dell'anno. Ha fatto battere il cuore a me e a mia madre, a cui ha risvegliato una serie di ricordi che si son trasformati in impellente bisogno di cucinare, quando è capitata su questa ricetta.
"La prima torta che ho preparato in Inghilterra!" ha detto- e a me si è gelato il sorriso: perchè io ero convinta che questa fosse una specie di novità, visto che fino a due o tre anni fa non l'avevo mai assaggiata. Invece, mi sbagliavo di grosso: pare che sia il classico dei classici, assieme ai vari trifle ricoperti di meringa, alla torta di biscotti, alla carrot cake e a un sacco di altre cose che ho preparato nei mesi scorsi, proprio sulla scia delle emozioni suscitate da questo meraviglioso ricettario e che prima o poi posterò anche qui sopra.
Tornando alla torta, è una meraviglia.
Presumo che in tutti questi anni sia sfuggita al mio palato perchè poco coreografica: conoscendo i miei gusti (soprattutto quelli di un tempo) avrà finito di fronte agli spettacoli delle layer cake e delle creme, tanto belli da vedere quanto stucchevoli da mangiare- ma ora mi sto rifacendo, perchè la preparo appena posso. L'impasto è incredibilmente morbido e il tocco in più dello sciroppo di limone versato sulla torta ancora calda è roba da candidatura al terzo Cerhio, per intenderci. In più, va bene per ogni momento della giornata, dalla colazione all'ora del tè e se la accompagnate con una crema anche per cena. Insomma, ogni occasione è buona ma, fidatevi, non sto esagerando...
per la torta
200 g di burro morbido
250 g di zucchero
3 uova medie, leggermente sbattute
la scorza grattugiata di 2 limoni
250 g di farina autolievitante
1/2 cucchiaino di lievito
100 g di latte
per la glassa
100 g di zucchero
il succo di due limoni
la scorza grattugiata di un limone
Preriscaldare il forno a 180 gradi, modalità statica
Mettere il burro, lo zucchero, le uova e le zeste di limone in un'ampia terrina e setacciarvi sopra la farina e il lievito, poi aggiungere il latte, sempre senz mescolare.
Con un cucchiaio o con le fruste elettriche incorporate tutti gli ingredienti, fino a formare un composto morbido e liscio.
Versatelo in uno stampo (diametro 22 cm) precedentemente imburrato, e coperto di carta da forno, livellando in superficie e infornatelo per 50-60 minuti (meno, nel mio forno: fate la prova stecchino)
Nel frattempo, preparate lo sciroppo, mischando lo zucchero con il succo e le zeste di limone, a freddo.
Appena la torta è pronta, toglietela dal forno e, lasciandola nella teglia, mettetela su una gratella. Punzecchiate la superficie della torta con un lungo stuzzicadenti o con i rebbi di una forchetta e poi versatevi rapidamente lo sciroppo, facendo attenzione a distribuirlo su tutta la superficie in modo che penetri uniformemente all'interno della torta.
Lasciate raffreddare completamente prima di sformare il dolce dallo stampo.
Note mie
Partiamo dagli ingredienti
ovviamente, i limoni si intendono non trattati. Meno ovviamente, si dovrebbe usare una grattugia in microplane, perchè non c'è confronto con quelle tradizionali. La scorza del limone viene via senza sforzo e quindi mantiene tutti gli aromi intatti. il burro deve essere morbido, ma non acquoso. uova e latte a temperatura ambienteper quanto riguarda il lievito, se non avete la farina autolievitante usate una bustina intera di lievito per dolci. Intera, perchè se fate caso, la ricetta prevede l'aggiunta di un cucchiaino supplementare. Quindi, deve crescere beneProcedimento
è quello che gli Inglesi chamano "all-in-one": si mettono tutti gli ingredienti in una terrina e si mescolano, tutti in una volta. Complicatissimo, direi :-)è fondamentale che lo stampo sia rivestito di carta da forno e se la fate trasbordare un po' è meglio. Vi aiuterà a sformare la torta che, una volta impregnata di succo, resterà un po' umida e quindi più esposta al rischio di spatasciamenti vari. Cottura
nei dolci col lievito, preferisco sempre il forno a modalità statica. Se usate il ventilato, 170 gradi per 30 minuti- e poi fate la prova stecchino. Deve uscire umido, ma non bagnato o meno che mai con i grumi di impasto attaccati sopra. Per il mio forno, come ho detto, 50 minuti sono troppi. Sciroppo
un'altra cavolata: è a freddo, quindi si tratta solo di mescolare gli ingredienti. Gli Inglesi usano il caster sugar, che è uno zucchero a "grana" più fine del nostro zucchero semolato e che, quindi, si scioglie più facilmente. Volendo, potete sostituirlo con lo zucchero a velo ma secondo me non è il caso. Buona ripresa :-)
ale